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domenica 9 novembre 2014

MACHINE HEAD - Bloodstone & Diamonds 2014





Nel 2014 non mi è capitato di ascoltare un album così entusiasmante da volerne scrivere qualche commento su questo piccolo blog, ciò è abbastanza allarmante per il sottoscritto poiché o mi sono completamente rincoglionito o il panorama metal/alternative ha sfornato ben pochi dischi memorabili. Credo fermamente di saper ancora riconoscere un disco brutto, poco riuscito, uno buono oppure un capolavoro. I Machine Head non sbagliano quasi mai e a fine 2014 mi regalano una soddisfazione immensa, segnano un gol clamoroso con un delle canzoni di altissima qualità, un songwriting così sono veramente poche band ad averlo oggi. Robb Flynn è un autore sopra le righe, indiscutibilmente, Machine Head tra alti e bassi storici hanno segnato profondamente la storia metal moderna, forse più di quello che sino ad oggi gli è stato riconosciuto, ma anche per questo, forse, riescono a continuare a 'picchiare' duro come altri colleghi invece non sanno più fare. Machine Head è sinonimo di estremo, di zoccolo duro, di melodia sopraffina, di groove arcigni, di qualità musicale e complessità esecutiva sopra la media.Il primo brano che ascoltai in anteprima del nuovo Bloodstone & diamonds fù qualche tempo fa Killers and Kings , brano prepotente, spinto, alla MH degli ultimi album, più groovy rispetto alla produzione di 'locust' ma che in termini di sorprese non aggiungeva nulla al palmarès della band. Tutto fatto bene, tutto oliato al punto giusto pronti per aspettarsi un album mastodontico. Infatti con Now we die, altra preview , oltre che opener, le cose si fanno serie, intro di violini e si parte con un brano dinamico! Impossibile non cantare a squarciagola il ritornello ...and with this now we die! Robb al pari di un mostro sacro come Hetfield capace di suonare la chitarra veramente a grandi livelli e librarsi in una performance vocale per tutte le composizioni in maniera sopraffina, forse così ben riuscita questa volta da rasentare la perfezione, anche su questo brano interpretazioni soavi, ruggiti rabbiosi, delicatezza e pathos si alternano. Robb fa veramente scuola a tanti in fatto di metal a 360 gradi. Ghosts will haunt my bones si erge con un'armonia di Demmel affiancato dopo pochi passi da un ritmico bulldozer fatto da un intricato basso di Jared MacEachern e chitarra killer, macina riffs di Flynn. Jared, il nuovo elemento, colui che coglie l'eredità di Duce in maniera egregia, forse, quasi senza tanti ma, addirittura supera. A me il basso in questa produzione piace proprio tanto, risalta bene, è un pilastro eccellente. Il brano incentrato su Phil sale e scende in un vortice di frena riparti da brivido. Night of the long knives ai primi due ascolti mi ha lasciato confuso, non riuscivo a capirla, è talmente segmentata che non capivo se aveva la dinamicità, la pesantezza, il ritmo pachidermico o cosa? Tutto si 'ripresenta', si mescola così tanto che lascia un po' spiazzati all'inizio, poi 'rischia' di diventare uno di quei brani che si ameranno di più. La famiglia di cui si parla è ovviamente la storica incursione da parte degli adepti di Charles Manson nelle case hollywoodiane. Assoli e cambi di ritmiche si inseguono, brano veramente interessante sotto l'aspetto compositivo. Sail into the black è un viaggio di otto minuti, se qualcuno ricorda il brano glass walls of limbo dei Type o Negative sa cosa incontrerà per la prima metà del brano, provare per credere, atmosfere da King Diamond estratte da un acustico passaggio di Them ci guidano su di una chitarra intima, cupa, maledetta atmosfera da sogno, si chiudono gli occhi sino a quando improvvisa arriva la luce, pesante, accesa da un ritmo pesante, deciso! Brano molto intimo che viene preso a pugni chiusi dalla disperazione urlata, compressa delle chitarre a dalla voce di un Robb veramente espressivo. Eyes of the dead  sorprende meno solo perché rischia di essere un brano un poco meno 'originale', ma è pieno zeppo di sorprese con così tanti cambi di 'umore' al suo interno sino al ritmo thrash puro posto nella metà. Da ascoltare più volte per apprezzare a fondo poiché meno immediato. Beneath the silt  è sorretto da un Groove Southern e da un vocal filtrato come già in passato Robb aveva sperimentato ma mai in questa maniera, brano veramente 'pieno', gonfio di pressione pronta a rilasciarsi nel ritornello.Bello bello. Come non restare colpiti dalla delicatezza del break soft? Pura magia compositiva nella quale MH sono sovrani indiscussi. Il tutto amorevolmente gestito dalle battaglie interiori di zio Robb. In comes the flood,  cara America, i MH con questa dedica al loro paese natio scrivono uno dei brani più riusciti dell'intera composizione. La pesantezza ritmica, ascoltatela e ditemi se ci siete riusciti senza sbatacciare la capoccia senza farvi venire dolori alla cervicale, per me è un inno che dà una carica micidiale! I don't give a fuck!!!!!!!!!!!! Damage inside? sì, è la canzone 'triste' che i MH scrivono qusi in ogni album, quella dove la depressione ha spazio, parola e suono. Prende vita in una song così intima, molto profonda che pare una ferita che sanguina incessantemente, così bella e ammaliante da diventare quasi pericolosa, un brano che con il tasto skip ti accorgi di tornare ad ascoltare più e più volte, non è metal, è intimità, è storia, è pura bellezza triste...non se ne può fare a meno e fa salire le quotazioni finali dell'album, come quella lode che fa la differenza anche solo per una questione di orgoglio. Game over è il puro orgasmo perché in sé incorpora tanto di quel catchy che è la fa diventare la song forse migliore del lotto, la a nation on fire del 2014 con i ma e se del caso, una bella canzone e basta, con una capacità di distinguersi nel saper scrivere una canzone pesantemente orecchiabile e velocemente intricata. Non da tutti e ormai questo concetto è ben chiaro, gli anni di songwriting di questa band hanno portato una possibilità così ampia di scelte da poter suonare così dannatamente classicamente metal e moderni da far sembrare il tutto naturale. Imaginal Cells è una strumentale con spezzoni da tv...condita di chitarre acustiche e rullate militari, un passaggio, un interlocutore che non disturba e accompagna all'appuntamento successivo senza disturbare, anzi, sapendosi far apprezzare per le giuste misure. take me through the fire non si saprà mai se è la song giusta  per concludere questo viaggio sonoro, semplicemente perché giunti alla fine non vorresti che ci si debba lasciare, vorresti che questa fantastica macchina da metal continuasse a sputare fuoco, ma come tutte le cose belle anche questo album si chiude e lo fa con una canzone metal Groove calda! Dave McClain? conferma di essere uno dei migliori batteristi del pianeta, ma questo già lo sapevamo da 'the more things....' un batterista così solo i MH ce l'anno, e chi altrimenti? HORNS UP!!

  • Robb Flynn – lead vocals, guitar
  • Phil Demmel – guitar, backing vocals
  • Jared MacEachern – bass, backing vocals
  • Dave McClain – drums

  • https://www.facebook.com/MachineHead?fref=ts